astrolabio.itMeno Male Che C’è il TAR
to Berardi, Antonio Pergolizzi, Nicolò Valle Una recente
sentenza del Tar del Lazio conferma la piena legittimità
dellimpiego del combustibile da rifiuti (CSS) nei cementifici e,
più in generale, pone un freno alle pretestuose
interpretazioni del principio di precauzione. Gli autori di questo
articolo, del Laboratorio di REF Ricerche, ne commentano per noi il
contenuto e i possibili effetti in un contesto paese burocratico,
politico e di affollamento normativo spesso condizionato da
pregiudizi, che non favorisce linnovazione tecnologica e nemmeno
lambiente. Foto di copertina: Italcementi - Roberto Caccuri Non si
può impedire lammodernamento tecnologico di impianti
produttivi sulla base di timori o incertezze, quando non c'è
alcuna evidenza scientifica di danni per la salute. Così il
TAR del Lazio si è espresso in questo inizio 2021 sull'uso
del combustibile da rifiuto nei cementifici in una recente sentenza
sul ricorso di alcuni comitati. Dello stesso identico tenore si
è espresso in quegli stessi giorni il Tar del Veneto [1],
dando piena legittimità al lavoro della prima linea
dellimpianto di Veritas che continua a trasformare una parte del
CSS prodotto in energia. Nello specifico veneziano, si tratta solo
del 15% dei rifiuti indifferenziati raccolti nel rispettivo ambito
di riferimento, a fronte di un recupero di materia che interessa il
restante 82% (con solo il 3% destinato alla discarica). Come capita
spesso nel nostro paese, nellassenza di una guida sicura della
classe politica (a ogni livello territoriale), spesso timorosa di
scegliere nellinteresse di tutti, e in presenza di una
conflittualità esasperata (soprattutto nel campo dei
rifiuti) ci si affida alla magistratura per uscire dallimpasse.
Dovrebbe essere una eccezione, è invece la regola. Per
essere chiari: valorizzare in senso energetico, in sostituzione di
fonti fossili, scarti che andrebbero in discarica è una
pratica pienamente rispettosa della gerarchia dei rifiuti definita
dalla normativa UE e italiana e un passaggio cruciale, almeno
nellimmediato, sulla strada della decarbonizzazione della nostra
economia. È infatti acclarato il fatto che per raggiungere
gli obiettivi di neutralità climatica e riduzione delle
emissioni di gas serra, da qui al 2050 lapporto delle fonti
rinnovabili non sarà sufficiente. Lo spiega un rapporto
della Fondazione Ellen MacArthur: lenergia green potrà al
massimo contribuire al 55% della riduzione di inquinanti entro il
2050, ma non oltre. È necessario trovare soluzioni
alternative, in grado di dare il loro supporto alla lotta al
cambiamento climatico. Tra le opzioni a disposizione ve ne è
una che coinvolge qualcosa che la nostra società produce e
possiede in abbondanza e di cui si deve costantemente occupare: i
rifiuti. Ladozione di modalità di trattamento che, allo
smaltimento in discarica, preferiscono il riciclaggio realizzato
con sistemi tecnologicamente avanzati danno ottimi risultati in
termini di minore inquinamento del Pianeta. Secondo lUnione
europea, se si seguisse questa strada, la sola Italia eviterebbe di
immettere qualcosa come 111 milioni di tonnellate di gas serra in
atmosfera. Tuttavia, il riutilizzo di materiali attraverso il
riciclaggio (dal vetro si avrà altro vetro o dallalluminio
altro alluminio e così via) non è lunica scelta a
disposizione per ricavare benefici ambientali da quello che non
serve più. Ve nè unaltra dalla grande
potenzialità: trasformare ciò che viene scartato in
una nuova fonte energetica meno inquinante da utilizzare in
sostituzione di quelle fossili che siano carbone, petrolio o gas
naturale. Se solo si adoperasse questo carburante più pulito
per alimentare le attività produttive e soprattutto
industriali, oggi responsabili di una quota pari al 21%
dellemissioni globali, risparmieremmo tonnellate di CO2 e molti
milioni euro. Come spesso accade, vi sono notizie buone e cattive.
La buona notizia è che non ci si trova di fronte a uno
scenario da laboratorio, con test e sperimentazioni ancora in
corso; infatti il carburante proveniente dal trattamento dei
rifiuti già esiste, è pronto alluso e si chiama CSS,
lacronimo di Combustibile Solido Secondario. Al pari della
più nota digestione dei rifiuti organici e dei fanghi
(aerobica e/o anaerobica), il CSS è un altro sistema per
recuperare energia termica ed elettrica; questo combustibile a
basso contenuto di carbonio è composto dalla frazione secca
e dal bioessiccato derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani
oppure dalla combustione di frazioni secco/umido variamente
combinate. Ad oggi, il CSS è scarsamente utilizzato, poco
compreso e talvolta osteggiato. Una condizione che riguarda anche
chi, come lindustria cementiera avrebbe tutta la convenienza nel
servirsene (oltre che lautorizzazione a farlo). I dati non lasciano
dubbi: se il settore smettesse di usare fonti fossili per generare
lenergia necessaria alla produzione e si rivolgesse al CSS, vi
sarebbero 700 milioni di euro di risparmi e 10 milioni di
tonnellate di CO2evitate ogni anno. Eppure, una serie di aspetti
ostacola lattuazione di questo disegno. Vediamone alcuni. Il quadro
normativo poco chiaro e complicato. Esistono due tipi di CSS: uno
che viene definito rifiuto (disciplinato dallart. 183 comma 1,
lettera cc) del D.Lgs. 152/06) e un altro che, invece, è
considerato non-rifiuto (ovvero il CSS Combustibile normato
dallart.184 ter del D.Lgs. 152/06 o meglio noto come TUA).
Benché uno e laltro svolgano la stessa funzione di
combustibile, quindi di recupero energetico da frazioni di scarti,
il primo rimane a tutti gli effetti un rifiuto speciale, mentre il
secondo ha perso tale qualifica meritandosi lo status di vero e
proprio combustibile/prodotto. Unambiguità lessicale che
contribuisce a creare confusione sulle modalità di utilizzo,
al di là delle leggi e norme che regolano il CSS e la sua
produzione. Un altro fattore di freno è la procedura che
porta allottenimento di CSS utilizzabile come combustibile e che
riguarda i trattamenti necessari per il recupero di materiali dai
rifiuti indifferenziati. Infatti, solo il 13,8% dei rifiuti urbani
in uscita dagli impianti di trattamento (pari a 1,3 milioni di
tonnellate) è inviato a ulteriori trattamenti quali la
raffinazione per la produzione di CSS o la biostabilizzazione (dati
2017). Inoltre, solo una parte degli impianti di trattamento in
funzione ha le autorizzazioni e la tecnologia adeguate a produrre
CSS (sia come rifiuto che come prodotto). Ciò significa che,
nel 2017, dei 130 impianti di trattamento dei rifiuti operativi sul
territorio nazionale, appena il 30% produceva genericamente CSS.
Pesano anche iter burocratici e autorizzativi complessi, lunghi e
costosi che fanno desistere anche i potenziali utilizzatori. Uno
fra questi riguarda la procedura per il rinnovo e la revisione
dellAutorizzazione Integrata Ambientale (AIA) e quella aggiuntiva
per lottenimento della Valutazione Integrata Ambientale (VIA).
Questultimo è un requisito particolarmente difficile da
ottenere, ragione sufficiente perché molti gestori di
cementifici desistano dal proposito di utilizzare CSS. Altro
ostacolo a una reale diffusione del CSS è rappresentato
dalla mancanza di sbocchi di mercato. Chi produce CSS ha un flusso
in entrata costante e lesigenza di trovare collocazione finale in
tempi rapidi. I cementifici, che ne rappresentano il naturale
sbocco, hanno una domanda ciclica e utilizzano il CSS solo come
complemento del pet coke, un derivato della lavorazione del
petrolio, che ha un costo ed è assai più inquinante
del CSS, perché non devono assoggettarsi ai complessi
controlli che invece governano lutilizzo del CSS. Per finire, non
manca lopposizione dellopinione pubblica che, spesso non guidata da
normativa complicata si è detta contraria allutilizzo di
CSS, considerandolo nocivo per la salute. Unopposizione che in
alcuni casi ha convinto persino gli Enti pubblici che,
strumentalizzati o timorosi di perdere consenso, si sono piegati
alle posizioni dei comitati del NO. Proprio sullopposizione
dellopinione pubblica, lo scorso 7 gennaio è stato segnato
un punto importante nella diatriba fra i comitati del NO al CSS e
chi invece ne sostiene lutilizzo. Con sentenza n. 219, il Tribunale
Amministrativo Regionale (TAR) per il Lazio ha rigettato il ricorso
avanzato dagli immancabili Comitati del NO per l'annullamento della
delibera di Giunta Regionale dell'Emilia-Romagna n. 1176/2016 del
25.7.2016, con la quale si forniva una valutazione d'impatto
ambientale (VIA) positiva al progetto di modifica del cementificio
di Vernasca (PC) presentato da Buzzi Unicem Spa, finalizzato
allimpiego di combustibile solido secondario CarboNeXT. Appare
evidente che la sentenza n. 219 rappresenterà un precedente
giurisprudenziale decisivo nello spostare lago della bilancia
lontano dalle posizioni NIMBY e a favore di un impiego più
diffuso del CSS, pertanto occorre analizzare attentamente le
argomentazioni e i principi enunciati dal TAR Lazio nella sentenza.
Secondo i ricorrenti, limpiego del CSS nel cementifico di Vernasca
avrebbe implicato severi rischi per la salute umana, e ciò
sarebbe stato deducibile dalle prescrizioni dettate nella VIA
impugnata e rinforzato da una proposta di Legge formulata dalla
Regione Emilia-Romagna e finalizzata allabrogazione del D.M.
dell'Ambiente 22/2013 sull'impiego del CSS (c.d. Decreto Clini). Le
principali argomentazioni dei ricorrenti ruotano intorno
allapplicazione del principio di precauzione dellUnione Europea
(art.191 del TFUE, recepito dal art. 301 del d.lgs. 152/2006),
secondo cui le esigenze di tutela della salute prevalgono rispetto
alle condizioni economiche. Secondo i ricorrenti: il D.M. 22/2013
violerebbe il principio di precauzione; di conseguenza, il
provvedimento di VIA della Regione Emilia-Romagna sarebbe
illegittimo perché a sua volta violerebbe il principio di
precauzione, ma anche il principio di buon andamento,
proporzionalità e ragionevolezza; sarebbe poi illegittimo
per eccesso di potere per contraddittorietà, difetto di
istruttoria, sviamento e per violazione dellart. 32 della
Costituzione. Riguardo alla violazione del principio di precauzione
da parte del D.M. 22/2013, il giudice amministrativo ha richiamato
una sentenza dello stesso TAR Lazio (n. 4226 del 4 aprile 2017)
che, aveva respinto un ricorso avanzato da alcune associazioni
ambientaliste per lannullamento del medesimo decreto. Con lo stesso
spirito, il collegio ha rigettato il ricorso contro limpiego di CSS
nel cementificio di Vernasca. In prima battuta il TAR Lazio pone in
evidenza due elementi fattuali, con riferimento alla richiesta di
annullamento del Decreto Clini, infatti: il D.M. 22/2013 è
stato notificato alla Commissione Europea senza che sia stata
sollevata o eccepita in alcun modo la sussistenza di pregiudizi in
relazione ai principi di tutela della salute o di prevenzione
dellambiente; limpiego del CSS è in linea con quanto
previsto dalla gerarchia dei rifiuti e con le best practices
implementate in altri Paesi UE (che individuano un mix ottimale per
la gestione dei rifiuti finalizzato allannullamento del ricorso
alla discarica tra il 30-45% di recupero termico). Appurata la
legittimità del D.M. 22/2013 che consente limpiego del CSS,
il collegio rigetta le motivazioni dei ricorrenti circa le
incertezze scientifiche da loro sollevate per la natura meramente
ipotetica della censura, che veicola una ragione di insicurezza
fondata solo su timoris caturenti da fondamenti insufficienti ai
fini del presente giudizio. Di più, il collegio sottolinea
che gli argomenti con i quali i ricorrenti affermano che il CSS
avrebbe un contenuto emissivo superiore in metalli ed altre
sostanze rispetto al pet-coke (noto e inquinante scarto della
raffinazione del petrolio ndr), con conseguenti variazioni in pejus
dei relativi limiti di immissioni, sono ampiamente esaminati nella
produzione (anche tecnica) della ricorrente (e smentiti in fatto
dal rilievo effettuato a processo avviato). Tale concetto è
ulteriormente ribadito e rafforzato nelle pagine della sentenza
laddove il collegio richiama la non sussistenza al principio di
precauzione affermando che il principio di precauzione postula la
sussistenza di una effettiva incertezza scientifica circa leffetto
di un determinato impiego di tipologie di prodotti
nellattività industriale o produttiva, ai fini della
protezione ambientale e della salute umana: ma losservanza di tale,
pur fondamentale, principio, non può spingersi al punto di
impedire lammodernamento tecnologico di impianti produttivi in
presenza di meri timori o incertezze. Si tratta di affermazioni che
sembrano segnare un punto non soltanto rispetto allimpiego del CSS
nei cementifici, del cui beneficio ambientale ed economico si
è già detto, ma più in generale di un freno
alla irrazionalità e alle sindromi da NIMBY, che spesso
nascono dalla totale mancanza di fiducia verso le istituzioni e gli
stessi attori economici. Se le iniziative impiantistiche sono
percepite come estranee sin dallinizio, e questa è purtroppo
la prassi, allora è facile che si innestino forme di
conflittualità diffuse, dove finiscono per venire meno
persino le buone intenzioni. I processi di innovazione tecnologica
e di infrastrutturazione territoriale dovrebbero essere affiancati
da percorsi paralleli di coinvolgimento e partecipazione delle
comunità interessate, in unottica di trasparenza e
lealtà. Il dibattito pubblico, attualmente previsto solo per
le grandi opere, dovrebbe invece accompagnare ogni iniziativa
impiantistica e diventare prassi consolidata, e naturale, per
attivare dialogo sempre franco e costruttivo. Solo allinterno di un
luogo istituzionalizzato e decontaminato da disinformazione e
pregiudizi, come dovrebbe essere listituto del dibattito pubblico,
è possibile costruire fiducia e consapevolezza, sempre e
solo nellinteresse di tutti. Per approfondire: Decarbonizzazione a
costo zero: il caso del combustibile da rifiuti, Contributo n. 135
- REF Laboratorio Servizi Pubblici Locali, novembre 2019 NOTE [1]
N. 00050/2021 REG.PROV.CAU.; N. 00004/2021 REG.RIC.