GiustiziaTributariaEmendabilità della dichiarazione in contenzioso
CORTE DI CASSAZIONE Sentenza 12 dicembre 2014, n. 26187 RITENUTO IN FATTO 1. Il 29 maggio 2006 era notificata dalla Soc. Med Italia Biomedica cartella per il pagamento di somme dovute all'erario e scaturenti dal controllo automatizzato delle dichiarazioni fiscali per l'anno 2001, compiuto dal fisco ai sensi dell'articolo 36 bis DPR n. 600 del 1973, per le imposte dirette, e dell'articolo 54 bis DPR n. 633 del 1972, per VIVA. 2. La contribuente, adducendo talune semplici omissioni nella compilazione delle dichiarazioni fiscali, otteneva lo sgravio per le imposte dirette ma non per VIVA, nonostante l'errore commesso comportasse l'evidenziazione di un inesistente debito verso l'erario di ben C 1.283.638,00 a fronte di un proprio reale credito di C 19.970,00. Pertanto la società adiva il giudice tributario impugnando l'iscrizione a ruolo anche per l'insussistenza della pretesa fiscale azionata. Il ricorso era respinto in prime cure, con decisione confermata in appello giusta sentenza del 19 settembre 2007. La Commissione tributaria regionale dell'Emilia-Romagna riteneva che, una volta decorso il termine legale per emendare la dichiarazione fiscale errata (articolo 2, comma 8 bis, DPR n. 322 del 1998), la parte contribuente non poteva «...discutere direttamente presso l'organo giurisdizionale sulla esistenza di un proprio errore pregresso da accertare in contraddittorio con l'Agenzia, ma fuori delle sede amministrativa sua propria, alto scopo di vanificare una procedura esecutiva legittimamente iniziata ed in fase di espletamento». 3. Per la cassazione di tale decisione, la Soc. Med Italia Biomedica propone ricorso affidato a quattro motivi; l'Agenzia delle entrate resiste con controricorso. CONSIDERATO IN DIRITTO 4. Con i primi due motivi, denunciando violazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 546 del 1992, articolo 19, primo e secondo comma; DPR n. 322 del 1998, articolo 2, comma 8 bis), la Soc. Med Italia Biomedica ribadisce la tesi che il contribuente, il quale abbia presentato una dichiarazione annuale IVA che erroneamente esponga un'imposta a debito in realtà assolutamente non dovuta e come tale non versata, possa fa valere tale errore attraverso l'impugnazione del ruolo emesso a seguito della liquidazione scaturante da mero controllo automatizzato. Osserva che il processo tributario (articolo 19) non pone alcuna limitazione in tale senso, così come non la pone il regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (articolo 2, comma 8 bis), riguardo ai termini per la dichiarazione rettificativa. 5. I primi due motivi sono fondati. 5.1. L'invocato comma 8 bis del citato articolo 2 del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare, non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo; aggiunge, inoltre, che l'eventuale credito risultante dalle predette dichiarazioni può essere utilizzato in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 241 del 1997. Il comma 6 dell'articolo 8 dello stesso regolamento prevede, infine, che per la sottoscrizione la dichiarazione relativa all'imposta sul valore aggiunto si applica la ridetta disposizione di cui all'articolo 2, comma 8 bis e comma 9. 5.2. Questa Corte, pronunziando in tema d'imposte dirette, ha reiteratamente affermato il principio di diritto secondo cui, in adesione all'articolo 53 Cost., la possibilità per il contribuente di emendare la dichiarazione allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione e incidenti sull'obbligazione tributaria, è esercitabile non solo nei limiti in cui la legge prevede il diritto al rimborso, ai sensi dell'articolo 38 DPR n. 602 del 1973, ma anche in sede contenziosa per opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria (Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3754 del 18/02/2014; conf. Sez. 5, Sentenza n. 2226 del 31/01/2011 e n. 22021 del 13/10/2006) . La dichiarazione fiscale - infatti - non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti, costituendo essa un momento dell'iter volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria (Sez. U, Sentenza n. 15063 del 25/10/2002). 5.3. Né esigenze di mera stabilità amministrativa, in ossequio alle quali si è sostenuta in un remoto passatola la non modificabilità della dichiarazione, possono mai comprimere il diritto del contribuente a versare le imposte secondo il principio di capacità contributiva sancito dall'articolo 53 Cost.: tanto in sintonia con la disposizione statutaria dell'articolo 10, secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede, essendo appunto conforme a buona fede non percepire somme non dovute ancorché dichiarate per errore dal presunto debitore (cit. n. 22021 del 13/10/2006). 5.4. Ne deriva che nulla osta a che la possibilità di emenda, mediante allegazione di errori nella dichiarazione e incidenti sull'obbligazione tributaria, sia esercitabile non solo nei limiti delle disposizioni sulla riscossione delle imposte (DPR n. 602 del 1973, articolo 38) ovvero del regolamento per la presentazione delle dichiarazioni (DPR n. 322 del 1998, articolo 2), ma anche nella fase difensiva per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato, come appunto avvenuto nel caso di specie. 6. Accolti i primi due motivi restano assorbiti gli altri riguardanti l'introduzione (D.Lgs. n. 546 del 1992, articolo 57, comma 2) e la fondatezza (Cost., articoli 76 e 77) delle questioni di legittimità costituzionale del comma 136 dell'articolo 3 della Legge n. 662 del 1996, in forza del quale è stato emesso il ridetto regolamento per la presentazione delle dichiarazioni. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la sentenza d'appello deve essere cassata senza rinvio con immediato accoglimento nel merito del ricorso introduttivo. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, mentre si stima equo compensare quelle dei gradi di merito in ragione della particolarità della fattispecie dell'evolversi della vicenda processuale. P.Q.M. La Corte accoglie i primi due motivi di ricorso, dichiara assorbiti gli altri mezzi, cassa la sentenza d'appello e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della parte contribuente; condanna l'Agenzia delle entrate alle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in € =20.000,00= per compensi oltre a € 200,00 per borsuali e agli altri oneri di legge; compensa le spese dei gradi di merito. Così deciso in Roma, il 24 aprile '14.